L'omicidio di Canovas del Castillo
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Il 4 agosto del 1897, Michele Angiolillo arrivò a Santa Agueda, località termale nei pressi di Mondragón, dopo un viaggio in treno da Madrid a San Sebastian e da qui a Gesalibar. Alle terme si registrò con il nome di Emilio Rinaldini, giornalista italiano di 26 anni, dichiarando di soffrire di faringite cronica. Per tre giorni, seguendo normalmente le attività del centro di cura, Angiolillo studiò i movimenti di Canovas. Il tipografo fu notato da diverse persone, le quali riferirono in seguito di aver apprezzato, di Angiolillo, l’educazione e la conoscenza della lingua spagnola. Ma era silenzioso e solitario. Lo stesso Canovas lo incrociò spesso; il tipografo, in tutte le occasioni, lo aveva salutato ossequiosamente.
Domenica 8 agosto Michele Angiolillo andò a messa, di mattina. Del capo del governo spagnolo, ormai, conosceva tutte le abitudini. L’anarchico, oltre a una pistola acquistata a Londra, aveva anche dell’esplosivo poi ritrovato nella sua camera, in albergo. Quella mattina decise però, per uccidere il primo ministro, di usare la pistola: si rifiutò di usare l’esplosivo a causa della presenza, nelle terme, di molti bambini.
Nella cappella, a pochi banchi di distanza, c’erano Antonio Canovas del Castillo e la moglie Joaquina. Dopo la funzione, Canovas e la moglie si separarono; lui fece una passeggiata nel parco poi, poco prima dell’una, tornò nel corpo centrale del complesso termale e si sedette su una panchina di legno del grande cortile delle terme. Cominciò a leggere l’ultimo numero del giornale conservatore “La Epoca”: poche le notizie sulla guerra a Cuba e sugli scontri in un’altra colonia spagnola, le Filippine; molto spazio era invece dedicato alla fuga dell’amministratore della famosa fabbrica di birra El Laurel de Baco di Madrid, scomparso con le tasse che avrebbe dovuto versare allo Stato. L’anarchico aveva seguito a distanza tutti i movimenti di Canovas; in tasca aveva il revolver. All’una, Angiolillo sbucò improvvisamente dalla porta che dava nella grande scalinata di marmo, si appoggiò con la mano sinistra alla porta di legno e di vetri e, con la destra, sparò quattro colpi. I primi tre colpirono Canovas.
Angiolillo non scappò.
Arrivò, richiamata dagli spari, donna Joaquina: l’anarchico le disse, con freddezza e distacco, di rispettarla e di essere tranquillo per aver vendicato i suoi compagni torturati nel castello di Montjuich.
Arrivarono le quattro guardie del primo ministro, che disarmarono e catturarono lo sparatore. Un’ora dopo, Canovas spirò.
Don Antonio lo ha visto e non ha fatto niente. Aveva occhi di serpente.
Allora Michele ha tirato fuori la pistola e ha sparato due colpi. Entrambi andati a segno. Poi una pausa, un breve istante che sembrava non finire mai e il mondo intorno appariva sospeso come quando Gesù Cristo è nato in Palestina. E le foglie non cadevano dagli alberi, il vento era fermo, gli uccelli sui rami stavano zitti e quelli in volo erano immobili, appesi al cielo. Ogni rumore era sparito. Erano ferme anche le sue gambe: non tremavano più. Di vivo c'era solo il suo cuore a battere nelle tempie.
Canovas era riverso sulla panchina. Michele non poteva guardarlo negli occhi perché don Antonio in faccia aveva portato il giornale, usato come inutile difesa.
Improvvisamente si è sciolta tutta la scena. E tutti urlavano. Pure i pettirossi. E si è sentito un putiferio.
Ha sparato di nuovo. Anche il terzo proiettile è andato al bersaglio. E ancora un altro colpo, una quarta volta. Solo che quando ha premuto il grilletto per l'ultima volta, si è sentito tirare da dietro. Infatti il quarto proiettile è andato a piantarsi sotto la volta della galleria.
(Tratto da "Questionario per il destino")